Spesso, quando incontro qualcuno che non conosce la mia attività di scrittore, mi viene posta la stessa domanda: come si fa a scrivere un romanzo? Quando lo scrivi?
Raramente mi viene chiesto perché sento il desiderio di scriverlo.
Prendo spunto dalle prime due domande e da alcune interviste a scrittori più o meno noti, pubblicate nel blog Sul romanzo.it che leggo sempre con molto interesse, per cercare di soddisfare tale curiosità.
Al termine delle considerazioni dei colleghi sul medesimo argomento, sotto riportate, potrete leggere le mie riflessioni.
Un’ultima nota: trovate l’intervista integrale cliccando sul collegamento con il nome dello scrittore.
Considerando la complessità della storia, m’interesserebbe conoscere il suo metodo di scrittura: si fa degli schemi, delinea prima la trama, oppure scrive in maniera istintiva?
“Arrivo al momento della scrittura con qualche quaderno pieno di appunti e una trama blindata, con i colpi di scena ben scadenzati. Partendo dai fatti reali ho iniziato a costruire i personaggi e poi a farli muovere all’interno della storia. Il mio amico Lucarelli dice sempre che parte da un’idea e poi costruisce la storia senza sapere come andrà a finire, io non amo le sorprese e ho bisogno di sapere tutto prima.”
Intervista a Maurizio De Giovanni
Cos’è raccontare una storia per Maurizio De Giovanni?
“Lo scrittore è come un autista di autobus. I lettori ci salgono e lui li guida, a volte si incontra un bel panorama e allora si fa una sosta, ma non bisogna mai deviare dalla strada principale.”
I suoi romanzi sono sempre in parte autobiografici, e in questo caso il protagonista si chiama Fabio e si trova in un luogo simile a quello dove è stato lei. Quanto è scoperto il gioco?
“Stavolta tanto. Penso che si debba scrivere di quello che si conosce, sono contrario alle scuole di scrittura perché penso che non possa insegnare qualcosa che non sai fare bene nemmeno tu. Non esiste “un” modo di scrivere, perché ogni storia va raccontata in modo diverso. È come parlare del modo migliore per crescere un figlio: non esiste, perché dipende da troppi fattori.”
Quanto peso hanno avuto le regole nella stesura del romanzo?
“Per me le regole hanno un ruolo fondamentale e me le impongo per scrivere: considero i tempi, i momenti, poi scrivo le scalette e le sinossi di ogni capitolo. Un thriller va dosato, i capitoli devono avere più o meno la stessa lunghezza. Ci sono regole da rispettare che non sono limitanti, ma che rappresentano spesso una sfida.”
Qual è stata la difficoltà maggiore che ha incontrato nel dare voce a personaggi vissuti in un’epoca così lontana da noi nel tempo?
“Un autore, quando scrive, è come se si distaccasse dalla realtà per vivere in prima persona la vicenda che sta narrando nel romanzo. La difficoltà non è stata quella di dar voce ai personaggi ma di scegliere IL PERSONAGGIO in cui identificarmi per osservare il mondo fittizio della storia narrata attraverso i suoi occhi. Come diceva Edward Morgan Forster, un personaggio è reale quando il romanziere sa tutto di lui.”
Il suo è un romanzo complesso, che racconta più storie in tempi e luoghi diversi. Come si è organizzata? Lo ha scritto nell’ordine in cui lo leggiamo oggi oppure ha portato a termine le storie separatamente?
“In effetti io non l’ho scritto così come appare nella sua forma definitiva. Ho iniziato con il capitolo iniziale dedicato alle dattilografe, poi ho introdotto la voce di Olga e quindi mi sono dedicata alle altre storie. Di solito scrivevo una cinquantina di pagine relative a un personaggio e poi passavo a quello successivo, ma è stato soltanto nella fase di revisione finale che ho deciso come collocare le varie fasi della storia, fino ad arrivare all’aspetto definitivo del romanzo.
Posso aggiungere che ho seguito anche un metodo di lavoro molto fisico: avevo una lavagna bianca su cui caricavo e spostavo in continuazione i post-it con i nomi dei personaggi e le loro scene rispetto alla linea del tempo che avevo collocato in basso, in modo che poi potessero collimare eventi inventati ed eventi storici. È stato un lavoro piuttosto complesso, in effetti.”
La prima curiosità che mi è venuta leggendo il primo volume della saga è stata questa: quanto tempo ha impiegato a immaginare un mondo tanto complesso, fitto anche di rimandi a note e spiegazioni di tipo storico-scientifico?
“È stato un processo in divenire. Tendo a non avere un’idea fissa e ben precisa di tutto all’inizio, per cui anche la costruzione del mondo è avvenuta a poco a poco, nel corso dei quattro anni che ho impiegato a scrivere questa trilogia. In principio non avevo un’idea completa di tutto, ma solo della struttura di partenza del mondo e dei personaggi principali da collocarvi, il resto è venuto spontaneamente col tempo.”
Com’è nata l’idea del romanzo?
“È difficile dire quando sia nata l’idea del romanzo. Si è sviluppata poco alla volta, come un mosaico. Un’idea ne ha generato un’altra finché sono arrivate le basi della narrazione. Ho saputo sin da principio di voler scrivere una storia il cui cuore fosse un mistero, ma non sapevo quale mistero. Certe volte tutto quello che serve è un seme o un indizio, e così una notte mi sono svegliata alle tre del mattino con un’immagine in testa. Nel sogno, avevo visto una carrozzina vuota, in giardino, sotto l’albero. Questo è stato il primo indizio. Ho saputo così che il mistero avrebbe riguardato un bambino scomparso dal suo passeggino. Nessuno sapeva dove fosse finito o chi lo avesse preso. Una situazione terribile.”
L’atto della scrittura può essere ritenuto esso stesso il tradimento di un’idea, di una verità che mai si riesce a raggiungere?
“No, scrivere, la scrittura è l’atto di avvicinamento alla fedeltà – se fatta davvero nel miglior modo possibile – verso noi stessi più grande che ci sia, secondo me. A parte il discorso della filiazione, ma questo lo lascerei da parte. Tentare la narrazione, tentare di riprodurre la realtà, tentare d’inventare una nuova realtà, tentare di descrivere ciò che è la realtà attraverso la scrittura è un atto di fedeltà profondissima o comunque un avvicinamento alla fedeltà profondissimo rispetto al contesto esterno. Quindi direi che è chiaro che molto spesso, quasi sempre, la scrittura non si avvicina mai all’idea iniziale, e si potrebbe pensare a un tradimento di ciò che volevi scrivere, ma è proprio lì l’atto di fedeltà: lasciare la strada maestra che ci si era prefissati e la premeditazione, e rispettare la fedeltà dell’azione anche se ci porta da un’altra parte. Anzi, molto meglio se ci porta da un’altra parte.”
Intervista a Loredana Lipperini
Ha abitudini particolari per scrivere?
“Mi piacerebbe avere un tempo lento per la scrittura, invece ne ho uno rubato, fatto di taccuini con appunti che poi diventano un’idea da sviluppare. Scrivo di getto, in modo selvaggio. Poi riscrivo fino a cinque, sei volte. Nel caso dei romanzi, impiego anni. La riscrittura avviene lentamente, soppeso ogni virgola e ogni singola frase.
Se non dovessi rubare il tempo ad altri impegni per scrivere, allora il mio posto ideale è nelle Marche, dove ho una casetta che considero perfetta per la scrittura. Quando ho il privilegio di andarci, il più delle volte è d’estate e, mentre guardo le montagne, cominciano a prendere forma le idee e i personaggi che poi diventano racconti e romanzi.”
Ed ecco il mio punto di vista personale: come si fa a scrivere un romanzo? Esiste una tecnica per scrivere? Servono le scuole di scrittura?
Come avete letto, dieci scrittori hanno dato dieci risposte differenti. In linea di principio, non ho mai conosciuto una persona che nasca scrittore. Oltre ad una certa predisposizione che può dipendere da diversi fattori, scrittori per quanto mi riguarda si diventa scrivendo una pagina dopo l’altra, scontrandosi con la fatica fisica di stare seduti per ore davanti ad una tastiera a mettere nero su bianco, parola dopo parola, un’idea, un concetto, una provocazione o un’emozione.
Certo vi sono diversi livelli di scrittura e vi sono diversi tipi di scrittori, così come esistono diversi tipi di lettori.
Certo, frequentare un corso di scrittura creativa o una scuola di scrittura può servire, specialmente all’inizio, per dare al proprio lavoro un’impostazione di base, evitando quel navigare a vista che fa perdere tempo e alla lunga può demotivare il neo-scrittore. Io stesso ne ho frequentate all’inizio della mia attività di scrittore.
Ma un racconto, un romanzo, nascono nella mente dello scrittore poco alla volta, giorno dopo giorno, in diversi momenti di una giornata o di una notte e molto spesso l’inizio di una storia non significa che abbia già un finale chiaro nella testa dello scrittore.
Almeno a me capita spesso così.
Esplorare l’antro creativo dello scrittore per scandagliare il quid che genera la trama iniziale di un romanzo, il punto alfa di una storia, è praticamente impossibile e comunque se uno scrittore sapesse anche minimamente spiegare quel segreto, molto probabilmente non ve lo rivelerebbe.
Una risposta su “Come si fa a scrivere un romanzo?”
Caro Lorenzo, grazie per averci restituito l’assoluta specificità del gesto personalissimo che corrisponde alla creazione romanzesca. Una parte dell’amore per gli autori che preferiamo si nutre anche di questo mistero. Al prossimo approfondimento!